Gli ultimi patrioti

Una doverosa nota introduttiva a “gli ultimi patrioti” (dell’autore)

Questo romanzo storico non è basato su un manoscritto ritrovato in soffitta. Mi piaceva l’idea, ma ho preferito un’impostazione diversa. Dietro questa storia c’è davvero un mio antenato, anzi due: il ragazzo cui il protagonista Alberto detta le proprie memorie si chiama Giovanni Saino, è davvero il mio bisnonno e diventerà corazziere del re Umberto I. L’altro è Carlo Saino, morto durante i primi scontri della Seconda Guerra di Indipendenza. Del primo sono certo, mentre del secondo ho tuttora dei dubbi circa la parentela diretta. Carlo ha certamente le radici nelle risaie piemontesi, le stesse di mio padre, mio nonno Gaudenzio e mio bisnonno Giovanni.
Nel romanzo, tuttavia, Carlo Saino non muore nel 1859: ho sacrificato questa verità al senso del racconto. Ed è l’unica forzatura che ho introdotto. Per ciò che riguarda i riferimenti ai fatti storici, ho compiuto invece il massimo sforzo per assicurarne la veridicità attraverso molte ore di studio, appassionato e approfondito, di fonti primarie come sentenze, proclami, editti, Gazzette Ufficiali, verbali delle sedute del Parlamento.

Non ho disdegnato nemmeno i siti internet, come quelli dell’Archivio di Stato di Milano e di Torino e le moderne pubblicazioni di autorevoli storici. Le descrizioni dei luoghi sono tratte da guide, pubblicazioni, piante topografiche del tempo. Tra il materiale ottocentesco cui ho attinto, vi sono poi molti giornali, ma essi potrebbero contenere delle inesattezze, ne riportano ai giorni nostri, quando la possibilità di verifica di un evento, grazie ai mezzi di comunicazione, è altissima, figuriamoci a metà ottocento. Ma tutto sommato anche questo fa parte della “storia”. Nonostante gli sforzi, potrei aver commesso delle inesattezze sul piano storico, per la cui segnalazione ringrazio anticipatamente chi me le vorrà comunicare. Il filo che lega tutti gli accadimenti e che fa sempre da fondale al romanzo della vita di Alberto, è il Risorgimento, anzi, a volte esso ne diviene il protagonista.

Molti dei personaggi che vi appaiono sono veramente esistiti, tra questi alcuni sono ben noti (un nome sopra tutti: Camillo Benso, conte di Cavour), mentre di altri, i miei pochi Lettori non avranno probabilmente mai sentito nemmeno il nome. Mi riferisco, ad esempio, al generale Teodoro Lechi (“Mon beau général”, come lo chiamava Napoleone) o il generale Jean-Baptiste-Auguste-Marie Jamin, marchese di Bermuy (ricordato su una delle colonne dell’Arco di Trionfo a Parigi, tra i francesi cui sono riservati massimi onori). Altri personaggi sono invece di pura fantasia, come Desiderato “Djiré” Berthaz, carissimo amico del protagonista, o Battista, l’anima avventuriera, un po’ velleitaria, romantica dell’eroe democratico, repubblicano, testardo, un po’ facilone, o come il marchese de Bonnet, funzionario del Regno di Sardegna. Il senso logico-razionale da “ingegnere” di Alberto, lo spinge inevitabilmente verso Cavour, anima razionale, cinica, pragmatica, incrollabile, tuttavia, ciò non gli impedisce di ascoltare le idee espresse da Battista, anzi da quelle è avviato al patriottismo. Alberto è un po’ idealista, un po’ romantico, sensibile al fascino femminile, allo stesso tempo ha un lato razionale, logico, è appassionato di scienze, matematica, tecnica, ma anche di politica.

Rimane affascinato dal varo del primo piroscafo a vapore italiano, soffre e gioisce per la Patria, si impegna nel processo unitario, rischiando e soffrendo di persona. Avvicinandosi la fine della sua vita, è amareggiato da ciò che vede attorno a sé. Analogamente alla nascita della Repubblica dopo la Liberazione dai nazi-fascisti, molte al suo tempo erano le speranze, molte attese, e più sono le aspettative, tanto più alta è la probabilità di rimanere delusi: è ciò che avviene ad Alberto con la nascita del nuovo Stato. Alberto ha il cuore dolce e tende a commuoversi, come quando ricorda la sua infanzia oppure quando osserva le vicende eroiche della Patria che si va formando e nei momenti difficili della vita, come per le tante perdite delle persone vicine, Cavour fra tutte.

Ha fatto argutamente notare Alessandro Barbero come alla morte di Cavour piansero tutti, compresi i deputati e i rappresentanti stranieri a Torino, un’attitudine al pianto che ai tempi nostri non si riscontra più. Non ci ricordiamo di nessuno che abbia pianto nel nostro attuale Parlamento, anche annunciando le tragedie più terribili. Io ricordo di aver visto commuoversi tra i politici, soltanto il Presidente Pertini quando visitò Bologna, dopo l’attentato alla stazione ferroviaria del 2 agosto 1980. Ma Pertini arrivava dalla Resistenza, quasi un’altra epoca.
Ho cercato di accennare anche ad avvenimenti dimenticati o non sempre ricordati con piacere dalla storiografia classica, spesso agiografica, come la feroce repressione piemontese di Genova del 1849; oppure le raramente ricordate fughe rocambolesche dei patrioti dalla Lombardia durante il decennio di “preparazione”, quel fantastico periodo dal 1849 al 1859 (nel romanzo, alcune fughe sono vere, altre sono verosimili); o ancora alcuni fatti considerati “minori”, come i festeggiamenti per ricordare il centenario dello spostamento delle reliquie di San Gaudenzio a Novara o la scoperta della tomba di San Francesco d’Assisi.

Anche i comportamenti di personaggi realmente esistiti a volte sono storicamente provati, come la relazione di Cavour con la ballerina Bianca Berta di Valentino Servitz-Ymar; oppure la magnifica capacità di gestire il proprio salotto della contessa Maffei: o ancora le fughe dei fratelli Visconti-Venosta, a volte frutto di fantasia, come l’assegnazione di incarichi al protagonista da parte di Cavour.

Non mi è stato possibile – certo per i miei limiti – restituire in modo sufficiente la percezione di aspetti importanti come il rapporto tra Cavour e il re Vittorio Emanuele II, oppure la complessa vicenda della preparazione e realizzazione della spedizione dei Mille. Del resto, su questi argomenti e altri ancora riferiti al Risorgimento, esistono intere biblioteche di autorevoli storici, e non solo alcuni dettagli non sono ancora stati chiariti, ma mi pare anche aspetti di una certa importanza, come la questione della supposta “vendita temporanea” del Piemonte e del Lombardo a Garibaldi. Per cui mi sono limitato a dare quella che ho assegnato al protagonista come la sua interpretazione personale; egli riferisce eventi avvenuti durante la sua vita e dei quali gli storici si interesseranno solo dopo decenni. Quindi, una visione non solo di parte, ma nemmeno documentata come non poteva esserlo, del resto, essendo questo un libro in prima persona, è ragionevole che chi narri fornisca il proprio vissuto, non necessariamente esaustivo e non necessariamente la verità.

Ho dovuto mitigare il mio approccio iniziale di scrivere nella lingua dell’ottocento, per prepararmi a farlo mi sono sottoposto alla lettura di numerosi testi del tempo allo scopo di acquisirne la prosa in modo naturale. Ma mi sono reso conto che per il Lettore sarebbe stato difficile seguire la narrazione e a volte noioso. Per cui ho notevolmente semplificato il linguaggio; troverete però dei passaggi o dei vocaboli che non ho voluto sacrificare, come la parola “intiero” piuttosto che “intero”. O certe locuzioni o parole tronche che si usavano nell’ottocento. Per le espressioni dialettali o francesi, mi sono naturalmente avvalso di esperti.

Non fa parte degli scopi di questo lavoro quello di portare alla luce alcuna novità storica. Semmai, potrebbe far sorgere delle curiosità su qualcuno dei moltissimi aspetti del Risorgimento, alcuni dei quali sono solo accennati. Non ambisco a contribuire alla rivisitazione del Risorgimento in chiave revisionista, il nostro pare proprio un Paese in cui sia impossibile ritrovarsi in una memoria condivisa e il Risorgimento non fa eccezione. Questo è solo un romanzo, le cui avventure sono immerse nel Risorgimento. Magari si possono intravvedere le radici di problemi che ancora oggi affliggono il nostro Paese, non tanto grazie al romanzo, ma al contesto (reale o realistico) nell’ambito del quale i personaggi si muovono.

Buon divertimento ai miei pochissimi Lettori!
Paolo Saino

Presentazione de “gli ultimi patrioti”

Non sono sicuramente motivazioni di ordine commerciale che hanno spinto Paolo Saino ad affrontare la sfida di un romanzo storico, sebbene l’autore sia pienamente consapevole di quanto possa coinvolgere una vicenda ambientata in un’epoca di profonde trasformazioni storiche –e basterebbe a provarlo l’autentica passione per la storia che traspare dalla sua scrittura-. È un altro però il fine che Saino si propone: definirlo “divulgativo” sarebbe troppo poco, per quanto il percorso storico seguito dall’autore nel corso del suo romanzo (l’intero Risorgimento italiano, dall’epoca napoleonica alla conquista di Roma) sia riportato in modo rigoroso e consenta al lettore di padroneggiare con adeguata profondità non solo e non tanto le principali vicende del travagliato processo risorgimentale, quanto le maggiori problematiche oggetto ancora oggi di controversie storiografiche. L’obiettivo di Saino è di ben maggiore spessore, tanto più significativo in quanto felicemente raggiunto: sottolineare la positività del Risorgimento, difendere l’identità nazionale cui quel processo ha dato luogo, in contrapposizione a tutti i banali tentativi revisionisti; nella consapevolezza che l’unità nazionale, sia pure seguita da numerosi e drammatici conflitti, abbia costituito un’opportunità per la Penisola, un fattore di progresso che mai avrebbe potuto realizzarsi nella frammentazione territoriale. Ed è tale operazione di conoscenza che Gli ultimi patrioti porta a termine.
Dal punto di vista del dibattito storiografico, la posizione di Saino emerge con chiarezza dalle pagine del romanzo, senza peraltro porsi in modo fastidiosamente assertivo; per lui la soluzione cavouriana fu l’unica possibile, quella che presentava una visione di realtà sconosciuta alle altre opzioni allora in gioco. Il lettore potrà a proposito valutare come nel romanzo siano efficacemente illustrate le speranze suscitate dai moti mazziniani, ma anche l’impotenza che li caratterizzò; o le ragioni del fallimento del programma neoguelfo, nel corso della Prima guerra d’indipendenza. Tra i molti dubbi che vive il protagonista Alberto, la dedizione al programma e alla persona stessa di Cavour rappresentano forse gli unici punti fermi. E Saino –in questo caso identificandosi pienamente con il suo personaggio- esalta la figura dello statista piemontese sino ad attribuirgli un protagonismo nell’ideazione della spedizione garibaldina forse superiore alla realtà storica, come l’autore stesso ammette nella nota introduttiva. La delusione che tormenta Alberto negli anni immediatamente post unitari, soprattutto in coincidenza con l’esplosione del brigantaggio, mostra in ogni caso come, nei confronti del mazzinianesimo e delle concorrenti opzioni di federalismo progressista, Saino non abbia alcuna preclusione ideologica. Semmai il contenuto utopico di quelle teorie (utopico se rapportato alle condizioni effettive in cui, nel contesto dell’Europa d’allora, l’unità d’Italia poté essere realizzata) avrebbe dovuto essere ripreso negli anni immediatamente post unitari, per realizzare quella coesione comunitaria verso il nuovo Stato che invece venne drammaticamente meno.

La storia è la protagonista assoluta de Gli ultimi patrioti; in questo “romanzo storico”, infatti, non sono le vicende personali e private dei singoli personaggi ad incrociare noti avvenimenti storici; è semmai la “Storia”, nella sua oggettività evenemenziale, che parla attraverso i protagonisti. Il lettore, una volta conclusa la lettura de Gli ultimi patrioti, possiede una conoscenza completa, e per alcuni aspetti particolarmente approfondita, del Risorgimento italiano, forse superiore a quella che potrebbe ricavare dalla consultazione di un buon manuale. Il che non significa sminuire la natura romanzesca dell’opera, quanto ribadire che i suoi numerosi personaggi vivono la “Storia”, esprimono sentimenti ed emozioni in relazione alle vicende che travagliano l’Italia, nel lungo, faticoso e contraddittorio percorso che ha portato all’unità. Da questo punto di vista essi sono sia personaggi reali, ovvero soggettività individuali che vivono personali vicende private, sia idealtipi in cui ogni lettore può riconoscere il proprio passato e quello della propria nazione. Il fine della scrittura di Saino è proprio quello di realizzare tale riconoscimento. Nei dialoghi tra i personaggi sono descritte e illustrate le vicende del Risorgimento; nelle loro discussioni si presentano le diverse opzioni strategico-politiche in gioco, oggetto del dibattito storiografico. Per comprendere la scelta narrativa di Saino da un punto di vista tecnico, senza voler proporre esagerati confronti, si tenga presente il modo di procedere di Roberto Rossellini, nelle sue indimenticabili produzioni televisive di argomento storico. Egli creava una totale simbiosi tra narrazione e divulgazione, facendo perdere a quest’ultima qualsiasi carattere di freddezza e pedanteria; in particolare, attraverso le domande e gli interrogativi che i personaggi delle sue storie (e della Storia reale) si rivolgevano, egli offriva al pubblico la possibilità di acquisire conoscenza e di entrare nella problematicità delle vicende storiche, mantenendo nel contempo alta la partecipazione emotiva tipica della fruizione di un’opera d’arte.

Saino dimostra indubbiamente una profonda sensibilità “storicista”, nel senso squisitamente filosofico dell’espressione: ovvero condivide l’idea che l’essere umano sia un’individualità storica, che realizza se stessa nel percorso temporale nel quale è stato destinato a vivere, fondendo in sé il personale destino di singolarità irripetibile, e quello della comunità cui appartiene. Non è poco in un’epoca, come la nostra, che sembra avere espulso la consapevolezza storica, quanto meno di lungo periodo, dai criteri indispensabili per interpretare e giudicare le vicende umane. Ed è in questo rapporto di identificazione dialettica tra se stessi e il proprio contesto storico che acquista pregnanza il termine patriota. Nel senso più autentico e filosofico (si pensi alle riflessioni in proposito di Ernst Bloch), esso esprime l’intimità con il proprio tempo; non da intendere, però, quale accettazione conformistica delle condizioni esistenti (sarebbe un esito tristemente reazionario, comune –ahimé- a diverse forme di nazionalismo). Semmai il sentimento di patriottismo indica la volontà di rendere più umano il proprio orizzonte storico di esistenza, di farlo coincidere il più possibile con condizioni di vita in cui gli individui si possano sentire protetti e in cui possano riconoscersi. In questo i protagonisti del romanzo, nei loro continui dubbi e ripensamenti, nelle loro speranze e delusioni, sono autentici patrioti (e sempre lo rimangono) proprio per la loro incapacità di accontentarsi, per la lotta incessante da essi condotta al fine di adeguare sempre di più il proprio ideale ai tempi vissuti, per far sì che la patria non sia solo un sentimento individuale, ma realizzi l’auspicata comunione tra sé e la comunità.

Qualcuno potrebbe pensare che, se la sostanza dell’opera si identifica con quanto esposto in queste preliminari considerazioni, le vicende private dei protagonisti abbiano una funzione puramente accessoria. Non è così; anzi, esse rappresentano una sorta di controcanto che permette agli stessi avvenimenti storici di essere compresi con maggiore pregnanza. Il personaggio di Alberto ha avuto sicuramente una vita straordinaria, e anche fortunata; eppure, non si deve dimenticare che la sua esistenza è pure caratterizzata da imprevisti e prematuri lutti, uno dei quali irreparabile. Saino gioca bene con i sentimenti e, quando mostra il turbamento di Alberto all’annuncio del felice matrimonio della figlia, non esplicita i motivi del disagio del genitore, del senso di colpa per non avere trascorso con lei tutto il tempo che avrebbe potuto; noi lettori, però, capiamo benissimo le ragioni per cui tale distacco appare al protagonista così traumatico. Perché Saino ha fatto questa scelta? Per una banale volontà di drammatizzazione, aggiungendo questi lutti quali necessari topoi letterari? Lo si potrebbe pensare, se non ci fosse proprio il protagonismo della “Storia”, sopra richiamato, a fugare i dubbi in tal senso. Questa presenza terribile della morte prematura, del dolore irrimediabile che non potrebbe scomparire anche nei migliori dei mondi possibili, serve a comprendere come il nobile sacrificio per i propri ideali, eticamente positivo ed esistenzialmente appagante, comporti il confronto continuo con il dolore e il lutto; e fa presagire l’inevitabile delusione, o comunque l’inadeguatezza, per i risultati ottenuti. In questo senso si spiega il titolo, Gli ultimi patrioti.

Perché gli “ultimi”?
Nella righe introduttive, l’Autore afferma di avere tenuto presente anche le vicende della Resistenza italiana. Il che già ci fa capire che l’aggettivo “ultimi” non va inteso in senso cronologico. Semmai esso è un riferimento psicologico, che nasce quando ci si rende consapevoli –come capita ad Alberto nel romanzo- del carattere inevitabilmente incompiuto della storia, di come il successo non possa mai essere interamente appagato, tanto da poter apparire, successivamente, addirittura come fallimento, in quanto destinato a sperimentare inevitabili regressioni. “Ultimi”, quindi, quale consapevolezza del destino di parziale delusione che sempre attende la speranza e che fa credere in epoche come la nostra, in cui la passione dei grandi ideali sembra entrare in crisi, di essere gli ”ultimi”, per l’appunto, a viverli.

L’esigenza di Saino nello scrivere questo romanzo, nel quale si esprime il più autentico significato dell’espressione “patriottismo”, intende invece rilanciare il sentimento della speranza, e rivela la convinzione che personaggi come quelli di Alberto (che possono identificarsi sia con singole individualità eccezionali sia con interi movimenti generazionali) sono destinati fortunatamente a ripresentarsi nel corso della storia.

Giovanni Carosotti
Docente di Storia e Filosofia presso il Liceo “Virgilio” di Milano

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