Giallo carbone – Milano 1833

Nota introduttiva dell’autore

Se esiste una codificata classificazione di genere, non mi sento di affermare: “Questo è un romanzo giallo” nel senso canonico, comprensivo cioè degli elementi tipici: ambientazione, presentazione dei personaggi, omicidio (od omicidi), indagini della polizia o di qualche arguto investigatore con tanto di maldestro assistente (che magari involontariamente mette il proprio principale sulla strada giusta), colpi di genio (e di fortuna), deduzioni, intuizioni, sospetti, tracce che vorrebbero orientare il lettore a identificare il colpevole in un personaggio che invece risulterà estraneo, riunione finale in qualche salotto con il colpo di scena; e finalmente individuazione del responsabile dell’efferato crimine. Non troverete tutti questi elementi in questo romanzo; magari solo alcuni.

Certo, c’è il “morto”, c’è un detective (un commissario che si crede brillante, e in parte lo è), ci sono le indagini; ci sono amanti, tradimenti, sofferenze; truffe forse perpetrate per finanziare la Carboneria; c’è chi crede davvero che entrare a farne parte potrà contribuire alla formazione della nuova Patria ancora non delineata.

Forse il vero fil rouge di questo romanzo è costituito dall’ambientazione storica: le vicende si svolgono nella Milano capitale del Regno Lombardo–Veneto del 1833, tra Carboneria, Imperial Regie Amministrazioni e mondo del commercio; la città meneghina con le persone, anche di livello sociale elevato, che parlano il dialetto (ho qualche difficoltà ad usare questa parola…il milanese è più una lingua, che un dialetto), una Milano attraversata dalle tensioni patriottiche. Silvio Pellico aveva detto: “Se v’è un po’ di vita politica, letteraria, mo-rale nel cuore degl’Italiani è tutta in Milano e nella sua circonferenza; scemando quanto più i raggi si allontanano.” Era quello il periodo in cui si presentava ai patrioti una scelta tra due alternative: quella carbonara e quella mazziniana. Nonostante la Giovine Italia fosse una proposta decisamente innovativa (era un partito politico aperto, con un programma esplicito, un dibattito interno, anche se fortemente influenzato dal suo fondatore e leader indiscusso), nata solo due anni prima, proprio in quel periodo quasi per scomparire in seguito ai processi in Piemonte (e al fallimento della spedizione di Savoia del 1834), per poi ricomparire qualche anno più tardi. Tuttavia l’attenzione degli inquirenti in occasione di fatti penalmente rilevanti (ed era penalmente rilevante anche esprimere idee “liberali” – figuriamoci poi se erano anti–austriache!) si divideva tra carbonari (è del 1820 l’arresto di Silvio Pellico con Piero Maroncelli e Melchiorre Gioia, avvenuto a Milano) e mazziniani. Solo due anni prima un certo Tinelli, mazziniano della prima ora, aveva sviluppato le idee della “Giovine Italia” a Milano, raccogliendo numerose adesioni. E sempre nel 1831 era morto Carlo Felice e la corona del Regno di Sardegna era finita sulla testa di Carlo Alberto, che tante speranze aveva fatto nascere nei cuori di molti patrioti in tutti gli stati preunitari. Erano speranze mal riposte; Carlo Alberto infatti in una lettera all’imperatore Ferdinando I scriveva, parlando dei cospiratori liberali: “… non posso ancora persuadermi che hanno il coraggio di fare sul serio: ma se l’osassero, io spero di acquistare qualche nuovo diritto alla vostra stima e al vostro affetto”.
Si potrebbe forse dire che le prospettive di lettura di questo libro sono molteplici: la storia in sé, come successione di fatti di una vicenda variegata, attraversata da amori, avventure, indagini; oppure il divertimento (spero) di leggere la descrizione di alcuni dei personaggi, quasi delle caricature; la rappresentazione di persone che sacrificano la loro esistenza all’idea di una Italia unita, che vengono a patti anche con sé stessi, per far prevalere però la giustizia sopra ogni altra considerazione; la giustizia vera, che non sempre coincide con quella dei tribunali. Tra i personaggi appare Ambrogio Angeloni, giovane e brillante commerciante in tessuti, che aderisce alla Carboneria su invito di un amico, commerciante come lui: odia gli Austriaci che in quegli anni tengono soggiogata la Lombardia; e ama le donne… forse troppe.

Ma che cosa ci fa un commerciante in un “giallo”? Anzi, che cosa ci fanno quattro commercianti? I commercianti di solito commerciano! Ed è quello che fanno alcuni dei personaggi di questo libro, approfittando delle conoscenze, che si intrecciano nelle società segrete, per accumulare facili guadagni.
In seno alla società segreta viene deciso un attentato, la cui organizzazione scatenerà una serie di eventi imprevedibili. Verranno a galla appassionati patrioti e squallidi truffatori, persone che agiscono in buona fede ed altre che tradiscono; uomini e donne della borghesia, la “classe che creava ricchezza”, ma anche funzionari delle Imperial Regie Amministrazioni coinvolti in frodi.

Una denuncia anonima (e anomala) dà l’avvio alle indagini del commissario Zecchini, collaboratore del barone Torresani. Il Commissario trova però soltanto (stra)ordinarie storie di truffe. Il giovane commerciante Giuseppe Guenzati, dell’omonima e apprezzata ditta, si metterà in azione nel momento in cui un suo caro amico, un Buon Cugino, cioè un Carbonaro, verrà assassinato.

I tradimenti e l’avidità incrinano le amicizie e difficilmente ne creano di nuove; mentre l’amore per la giustizia genera forti legami e alleanze. Proprio grazie ad una bizzarra alleanza, la verità viene a galla. Una verità strana, dove la Carboneria rimane in secondo piano, mentre le passioni da un lato e la sete di giustizia dall’altro la fanno da padroni. Una verità che costringerà però Giuseppe Guenzati ad allontanarsi da Mila-no; sarà tuttavia durante il viaggio per giungere in Inghilterra che incontrerà una nuova opportunità per il suo negozio.

***

Per il sottofondo storico, mi sono avvalso di fonti primarie, di memorialistica, di articoli di stampa coevi, di dipinti provenienti anche dai discendenti del Guenzati. Ciò che di storico è narrato è vero o verosimile, non è casuale o frutto di immaginazione, ma il risultato di accurate ricerche. Non ho ritenuto di dover riportare la bibliografia: si tratta di un romanzo e non di un trattato storico.

Quasi tutti i personaggi di questo libro sono veramente esistiti; sono veri come lo sono i loro titoli ed i ruoli, desunti da testi storici (anche facilmente reperibili). Fra gli altri mi fa piacere ricordare:
– Giuseppe Guenzati, proprio quell’uomo pio, amico di Don Bosco, che fece diventare famosa la “bottega” fondata dall’omonimo nonno nel 1768, tutt’oggi così apprezzata nella capitale meneghina, anche se non più guidata dalla famiglia che l’ha resa famosa.
– Ulisse Zecchini, Imperial Regio Commissario di Polizia, Contrada di Brera 1563.
– Carlo Giusto de Torresani Lanzfeld, barone di Campone-ro: severo, zelante, scrupoloso e famosissimo comandante del-la Polizia a Milano dal 1822.
– Il “Terribile”, ruolo assegnato da alcune Vendite ad un Buon Cugino per accertare non solo che un potenziale nuovo adepto non fosse una spia o uno sbirro, ma che avesse le caratteristiche adeguate per aderire a quella Vendita.

Sono passati 185 anni e spero che i discendenti di queste persone (e di altri personaggi realmente vissuti in quel tempo) non si offendano se ho “costretto” i loro avi a recitare parti poco simpatiche e non aderenti alla realtà.
Forse in questo romanzo qualcuno potrà scorgere delle similitudini, dei paralleli con il tempo di oggi. Forse sì, ve ne sono; ma con una differenza: oggi (quasi) nessuno ha in mente la Patria come elemento aggregante.

Buon divertimento ai miei pochissimi lettori!

Il commento del Prof. Giovanni Carosotti

Il nuovo romanzo di Paolo Saino, caratterizzato ancora da un’accurata ambientazione in epoca risorgimentale, conferma una passione per la ricerca storica che emergeva con prepotenza già nell’opera precedente. Si tratta di un romanzo tuttavia molto diverso, per stile e struttura: se il primo si situava nel solco della robusta tradizione del romanzo stori-co, la nuova opera ci pone di fronte a un’indagine poliziesca, espressione di un genere letterario – il giallo – alquanto caratterizzato, rispetto al quale però la contestualizzazione storica, seppure non assente, costituisce in ogni caso un’eccezione. Una sfida non irrilevante, che presuppone un diverso atteggiarsi nei confronti della storia, oggetto d’interesse privilegiato dell’Autore, che mai oserebbe ridurla a semplice cornice narrativa.
Nel precedente romanzo, Gli ultimi patrioti, la Storia era l’assoluta protagonista; la vicenda si snodava lungo tutto il periodo risorgimentale, in uno sforzo enciclopedico di ripercorrere con il lettore le diverse fasi e le problematiche cruciali di quel periodo così decisivo per la storia italiana. La vita di Alberto, il protagonista, rappresentava una biografia esemplare, introdotta non casualmente attraverso il classico espediente del manoscritto ritrovato.
In Giallo carbone, invece, il tempo si contrae. Siamo sempre in pieno Risorgimento, tra Piemonte e Lombardia, i luoghi più cari a Saino, ma in un arco di tempo limitato, neanche tra i più decisivi del periodo; anche se si tratta di anni che anticipano e preparano la successiva tempesta del 1848 e della Prima guerra d’indipendenza.
Ne deriva, inevitabilmente, un problema di ordine interpretativo. La lettura de Gli ultimi patrioti poteva far nascere il sospetto che la biografia dei diversi personaggi, totalmente coincidente, sul piano evenemenziale come su quello psicologico, con le diverse vicende che condussero all’unità d’Italia, fosse un puro pretesto per far parlare la Storia; per esporla nel suo articolato intreccio e convincere il lettore di quanto l’esito unitario del Risorgimento rappresentasse, nonostante gli inevitabili errori e le disillusioni successive, un valore positivo che la coscienza nazionale del nostro Paese deve fare proprio senza tentennamenti. In quest’ultima fatica, invece, si potrebbe insinuare un’ipotesi opposta: ovvero che la storia, gli ambienti, i contesti, i diversi luoghi rispetto ai quali Saino mostra un evidente legame affettivo, siano però puramente funzionali alla narrazione, all’intreccio poliziesco destinato a rapire l’intera attenzione del lettore. E che venga meno in qualche modo quella motivazione etica così profondamente intrecciata a quelle pagine della storia.
Ebbene, a nostro parere Giallo carbone non corre affatto questo rischio. Sia pure in modo diverso, in queste pagine la Storia emerge con l’eguale protagonismo del romanzo d’esordio; e ciò conferisce all’impegno intellettuale di Saino una coerenza, un continuità, un progetto collettivo che conferiscono allo scrittore una fisionomia autoriale. Nonostante infatti il ristretto orizzonte temporale entro cui si dipana quest’ultima vicenda, tra i due romanzi vi sono decise affinità; e l’avvertirle consente di apprezzare in modo più profondo le molte sfumature di cui è piena l’intricata vicenda narrata in Giallo carbone. Innanzitutto, anche in queste pagine Saino intende illustrare, secondo le modalità proprie del romanzo, una questione storiografica cruciale, e condurre l’attenzione del lettore su uno dei valori più specifici del Risorgimento italiano. Ovviamente, Giallo carbone fa riferimento a una problematica specifica, che rappresenta però un momento di svolta significativo per la maturazione della coscienza politica risorgimentale. Le vicende narrate descrivono, infatti, un passaggio cruciale per la strategia di lotta cui furono chiamati i patrioti italiani, ovvero la consapevolezza di quanto inefficace fosse l’azione eversiva organizzata sul modello delle società segrete, e quanto fosse necessario un ripensamento complessivo dell’azione politica, capace di coinvolgere in modo più diretto la coscienza nazionale di tutti gli italiani.

Proviamo a confrontare, da questo punto di vista, alcuni caratteri dei personaggi di Giallo carbone con la personalità di Alberto, il protagonista de Gli ultimi patrioti, un personaggio che incarna, sia nell’impegno politico sia nella vita privata, un comportamento virtuoso. Nella maturazione della sua personalità, infatti, si riflette quella che doveva essere la fisionomia del nuovo stato, così come la immaginavano – forse in modo utopico – i diversi patrioti che sacrificarono la loro vita per l’Italia. L’eroismo di Alberto era puro, pronto a sacrificare la stessa vita familiare agli ideali unitari; pure il suo comportamento era guidato da un accorto realismo politico, che lo conduce ad aderire alla soluzione cavouriana e a non commettere azioni inutilmente avventate. I protagonisti della setta carbonara di Giallo carbone non difettano certo di coraggio, ma il loro eroismo si rivela in parte inconcludente, difetta di comunicazione tra i membri, non sembra andare oltre un volontarismo individualistico. Il primato morale per Alberto coincideva con l’ideale unitario, esito politico pensato per la felicità del popolo italiano, inteso non in modo astratto, ma nella concretezza di vita dei singoli uomini che appartengono a un progetto culturale comune. Si vedano in proposito le disavventure di Alberto in terra napoletana, e in particolare l’incontro con il contadino che lo soccorre. Nei carbonari di Giallo carbone, invece, la dimensione della clandestinità impedisce – come aveva intuito Mazzini, richiamato anche da alcuni dei protagonisti quale esempio di un nuovo modo di concepire la lotta politica – un rapporto diretto con il popolo, per cui l’idea di nazione e di unità rimane circoscritta, non diventa sensibilità collettiva. Laddove nel precedente romanzo vi era continua apertura di relazioni e orizzonti, tentativi di conciliare collo stesso ideale aspirazioni pure discordi, qui i personaggi si ritrovano in luoghi chiusi, appaiono isolati dal contesto; simbolo di tale vicolo cieco è l’ultimo rifugio di Ambrogio, dove poi si consumerà il delitto.
In ultimo – e si tratta di una sottolineatura storica acuta-mente intuita da Saino – l’esercizio dell’attività politica in questa dimensione occulta, che esprime una tendenza elitaria e privatistica, finisce per favorire il compromesso morale, come dimostra la tendenza alla corruzione di alcuni dei personaggi i quali, di fronte alla possibilità del fallimento, comunque reagiscano provvedendo a un’accumulazione di ricchezza personale che li metta al riparo da possibili imprevisti. Altro che la totale dedizione alla causa, fino alla morte, dei personaggi che costellavano Gli ultimi patrioti. Ma, soprattutto, compare ancora un’importante riferimento di carattere storiografico, che Saino suggerisce e che è compito del lettore raccogliere: l’incapacità, di parte della futura classe dirigente del nostro paese, di resistere alla tentazione dell’arricchimento illecito; una tendenza alla corruzione che avrebbe attraversato tutte le epoche della storia italiana, resistendo a qualsiasi cambio di regime. Affermare che tale tendenza fosse già presente nelle dinamiche del Risorgimento sarebbe ingenuo ed errato; individuare però in quel tipo di atteggiamento la ragione di un processo di disillusione – così ben descritto ne Gli ultimi patrioti – è una di quelle licenze storiche che la letteratura può permettersi, che non rappresenta affatto un falso, ma un modo per riflettere in modo profondo su alcuni aspetti della nostra storia nazionale.

Possiamo quindi provare a proporre delle osservazioni conclusive, che permettano al lettore di cogliere in modo unitario il percorso autoriale di Saino e il contributo che lo scrittore è capace di offrire all’analisi storica: egli intende innanzitutto ribadire le ragioni morali e politiche del processo risorgimentale, prendendo le distanze dalle forme banali di revisionismo oggi diffuse. L’unità d’Italia non fu affatto un azzardo, bensì la condizione essenziale per rendere possibili processi di emancipazione politica, economica e sociale che non avrebbero mai potuto coinvolgere territori rimasti divisi e frammentati rispetto alle grandi nazioni europee.
Nello stesso tempo, Saino non si nasconde la criticità di quel processo. In Giallo carbone riprende e sviluppa in modo diverso e originale la tematica della “speranza delusa”, già presente nel romanzo d’esordio, non più colta nelle immediate vicende post unitarie, ma presagita attraverso i drammi che coinvolgono i personaggi del suo intreccio poliziesco e la non irreprensibilità etica che caratterizza il loro comportamento; in particolare, essi non sembrano saper conciliare la pulsione politico-ideale che li spinge all’azione patriottica con l’insieme di interessi individuali legati alla classe sociale di appartenenza.

Un’identificazione tra queste due dimensioni dell’esistenza può manifestarsi in fasi storiche eccezionali; nei periodi di normalità e di riassesto dei poteri, o nella consapevolezza dell’imminente sconfitta dei propri progetti politici, esse tendono realisticamente a separarsi, producendo il sentimento della disillusione. Riuscire a individuare le cause di questo scadimento di un nobile ideale, saperlo giustificare con un convincente riferimento alla più ampia sfera delle esperienze umane, rappresenta una delle qualità più convincenti di Giallo carbone. Nonostante ciò, la necessità di mantenere viva la tensione ideale e patriottica del Risorgimento si fa tanto più necessaria quanto più di questo processo si possono cogliere le manchevolezze e i limiti. Un ulteriore motivo per opporsi – magari guardando con attenzione alla pagina storica della Resistenza, che rappresenta un esempio sommo di felice eredità delle vicende legate al raggiungimento della nostra unità nazionale – ai tentativi, di carattere inevitabilmente reazionario, tesi a negare alla pagina risorgimentale quel ruolo fondativo per la nazione italiana che, seppur non compiutamente realizzato, le ha permesso in ogni caso di superare le pagine più oscure della sua storia.

Giovanni Carosotti
Docente di Storia e Filosofia
Al Liceo “Virgilio” di Milano

Il commento del Prof Marco Meriggi

[…..] Per il momento ho letto Giallo carbone e sono diventato anch’io un fan del commissario Zecchini. Mi è molto piaciuta la ricostruzione di ambiente del mondo dei carbonari e ho trovato molto azzeccata anche l’evocazione del rapporto intenso tra città, campagna e provincia che era tipico della Milano di quell’epoca. Complimenti. Adesso passerò alla lettura di “Gli ultimi patrioti”.
Un caro saluto

Marco Meriggi
professore ordinario di Storia delle Istituzioni politiche all’Università Federico II di Napoli

Il commento di Primo Lodi

Prefazione
Dopo aver letto, suggerendo qualche ritocco, il libro del mio amico Paolo Saino, come ringraziamento, Paolo mi ha chiesto di scrivere la prefazione al libro stesso, e ciò per due motivi: per aver dichiarato che il libro è bello, e per essermi dichiarato un giallista.

In effetti, ho letto molti, forse troppi, libri gialli. Per nobilitare un poco questo tipo di letture, tengo a specificare che ho letto soprattutto, e magari più di una volta, i libri degli autori migliori, per cui la qualifica di “libri gialli”, anche se corretta, va un poco stretta. Mi riferisco a scrittori come Rex Stout, di cui ho letto, credo, tutti i romanzi con Nero Wolfe come protagonista; Erle Stanley Gardner, con l’infaticabile Perry Ma-son; Andrea Camilleri, con il commissario Montalbano (di cui vorremmo fossero pieni i nostri commissariati) …
Come vedete, si tratta di libri che, oltre ad essere dei gialli, con trame ben costruite attorno all’immancabile omicidio ed alla scoperta del nascostissimo colpevole, danno delle ambientazioni che sarebbero perfettamente valide in un libro di letteratura, e che, prese nel loro insieme, superano l’importanza del giallo stesso. Con Rex Stout si viene in contatto con le orchidee, l’alta cucina, e la New York a cavallo della seconda guerra mondiale; Perry Mason ci svela il mondo della legislazione e dei tribunali statunitensi; Montalbano tocca l’essenza della Sicilia.

Nel romanzo di Paolo ho ritrovato lo stesso rapporto perfetto tra il contenuto, e cioè la trama del giallo, con il suo inevitabile svolgimento, dall’efferato delitto alla sua logica, anche se imprevedibile, soluzione; ma inoltre, non voglio dire soprattutto, l’ambientazione: il mondo di metà ottocento, con il severo occupatore austriaco ed i patrioti, che faticavano a coniugare l’amore per l’Italia con la scelta realistica delle azioni che potevano portare a questa desiderata unificazione.

Le persone che si muovono in questo ambiente sono vive, reali: perciò, sono ben lontane da essere persone ideali od idealizzate. Il loro amore per la Patria non implica comportamenti assolutamente morali: sono esseri umani, con le loro passioni ed i loro limiti. Non c’è, quindi da stupirsi se, anche in questo ambiente, si sviluppano rivalità, gelosie, risentimenti.
Paolo descrive tutto ciò con mano d’acciaio in guanto di velluto: le situazioni si svolgono con apparente semplicità, ma la mano tiene fermamente la direzione del racconto verso l’epilogo finale. E, naturalmente, come per ogni giallo che si rispetti, la trama che si svolge avviluppa anche il lettore, che si ritrova incatenato a leggere per sapere come va a finire…
Basta, non anticipando nulla di specifico, ho detto anche troppo. Buona lettura!

Primo Lodi, fisico e “giallista”.

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